LE NOBILI CASATE

 

GUILLICHINI

Araldica: “Un’aquila coronata d’oro sopra una fascia, e tre bande nere in campo d’oro”

La famiglia Guillichini, appartenente alla parte ghibellina, originaria di Città di Castello venne ad abitare in Arezzo nel XIII secolo. L’importanza di questa famiglia sembra essere notevole nella città, Enrico di Guillichino lo troviamo combattente a Campaldino nel 1289, con il vescovo di Arezzo Guielmino degli Ubertini. La partecipazione alla battaglia accrebbe e rafforzò il potere dei Guillichini in città, fornendo i propri componenti alle magistrature cittadine. Dopo la cacciata del duca D’Urbino nel 1343 un discendente della famiglia tale Azzolino Guillichini, è ambasciatore a Firenze, poi ancora questa nobile famiglia fornisce altri illustri componenti al mondo politico aretino, con Lodovico di Andrea Guillichini inviato alla corte del duca Alessandro dei Medici e Nicola Guillichini investito di molte importanti missioni diplomatiche. La vocazione militare di questa famiglia è molto forte e si rivolge soprattutto alla marina Militare, infatti, Angelo Guillichini cavaliere di Santo Stefano inizia nel 1574 la carriera nella marina toscana, e notizie bibliografiche informano poi, che Giovanni Battista Guillichini anch’egli con l’abito da cavaliere di santo Stefano, partecipa all’impresa d’Algeri dove diventò nel 1806 maresciallo di campo e capo squadra della Marina napoletana. Giovanni Guillichini nel 1859 fu guardia d’onore di Napoleone Buonaparte; fatto poi senatore, partecipò alla costituente che sempre nel 1859, decretò il decadimento della casa d’Asburgo – Lorena. La famiglia Guillichini, è iscritta nell’ El.Uff.Ital. dal 1922 col titolo di Patrizia di Arezzo, in persona dei discendenti di Angelo di Ottaviano, di Giovanni Battista.

 

LAMBARDI DA MAMMI

Araldica: “Aquila a volo aperto in rosso traversata da tre fasce in oro sul campo d’argento al sommo tre gigli in oro sotto un rastrello in rosso”.

Questa famiglia ha origini molto antiche; appartenenti ai guelfi quando ebbe suoi rappresentanti al consiglio dei sessanta di Arezzo, e onorata dal gonfalonierato di giustizia: per accedere a questa carica pubblica. Che secondo lo statuto fiorentino o “costituzione del Primo Popolo” del 1250 era necessaria l’appartenenza alla classe magnatizia e la responsabilità, specie il gonfaloniere di giustizia, riguarda il comando della compagnia armata del popolo; la carica del gonfalonierato risale almeno all’ultimo decennio del XIII e pone il gonfalonierato al comando come capitano di mille uomini armati “a difesa del popolo e dei rettori contro la violenza dei grandi”. Successivamente, dopo l’entrata in vigore degli “ordinamenti di giustizia” fiorentini, il gonfaloniere divenne praticamente il capo dei priori che veglia dell’esecuzione degli ordinamenti medesimi. Nel 1306 il gonfaloniere divenne un vero e proprio magistrato con specifiche attribuzioni militari: l’esecuzione di guerra e il capo del governo civile. In questo periodo i Lombardi sono magister nobilissimi, per cui dividono il comando del castello di Citerna in Umbria con i Tarlati di Pietramala. Pietrantonio Lambardi ebbe alla fine del XV sec. molta parte nello stipulare l’alleanza con Siena e Perugina per sottrarre la città di Arezzo al dominio fiorentino. Tra gli uomini illustri della famiglia Lambardi, inoltre dobbiamo ricordare Antonio Lombardi che fu Vescovo Canne, e Francesco Lambardi anch’egli nobile prelato e vescovo di Veroli. Se la carriera eclesiastica era ambita e ricercata da queste nobili famiglie bisogna però dire che i Lambardi dettero anche uomini d’armi, come Lelio Lambardi, preposto alle milizie del Papa Alessandro VII. Questa famiglia si divise in due rami: i Lambardi di Mammi e o Lambardi di Tuoro che ebbe undici cavalieri di Santo Stefano. La famiglia Lambardi è iscritta nel El.Uff.Nob.Ital. col titolo di Patrizia di Arezzo in Persona di Carlo Lambardi, di Ciro di Carlo Federigo Lambardi e dei figli Ciro, Lombardo, Giuseppe, Laura, Riccardo, Mario. Per le altre due famiglie Lambardi derivano entrambi dal medesimo ceppo della famiglia sopra descritta.

 

CONTI DI BIVIGNANO

Araldica: “Leone Rampante oro sul campo rosso al sommo tre gigli in oro sotto un rastrello in rosso”.

Le più lontane notizie attendibili che ci parlano di Bivignano risalgono a poco dopo il mille. Il Repetti ha scritto: “Bivignano nella valle Tiberina. Giace sulla costa dei poggi che diramansi a settentrione del monte Marzana fra i torrenti Padonchia e Cerfone. Costituiva Bivignano sino dal sec. XI un comunello con cura. Più tardi fu eretto in contea, che diede il titolo a una nobile famiglia di Arezzo, la quale conservò il giuspatronato della chiesa di Bivignano sino al 1784; alla qual’epoca la rinunziò alla mensa vescovile. Bivignano ha una popolazione di 350 abitanti.” Dopo essere stato nel sec. XI possedimento dei Conti di Galbino, dette origine alla nobile famiglia cui accenna il Repetti e da tutti gli storici ricordata come la famiglia dei Conti di Bivignano. Sembra che si tratti della famiglia degli Aldobrandini. La memoria più antica dei Conti di Bivignano risale al 1145 in una bolla di Papa Eugenio III, da cui si conosce che il Pontefice stesso intervenne in una controversia sorta per il possesso del castello di Sasseto fra il Vescovo aretino Girolamo “et nobilem virum Henricum de Bivignano”. Nel 1350, Aldobrandino e Cione di messere Simone di Bivignano furono sepolti nella chiesa di S. Domenico in Arezzo. Fra le imprese dei Conti di Bivignano, ricordiamo, nel 1529, Francesco da Bivignano, detto il Conte Rosso, che per i buoni uffici messi, quale ufficiale dell’esercito imperiale, presso il principe d’Orange, in occasione del transito da Arezzo di un forte esercito che dirigeva a Roma con l’intento di restaurare il governo mediceo di Giulio II, riuscì a ridurre a un decimo l’esosa cifra richiesta per non saccheggiare Arezzo. Il 21 settembre di quell’anno l’esercito se ne andò, lasciando Arezzo senza un soldo ma con un nuovo governatore nella persona del Conte Rosso che, tre mesi dopo, preso il comando di 350 fanti e 100 cavalieri dello spagnolo Don Diego di Mendoza e Valenza, si scontra, presso il Mercatale, con le forze di Napoleone Orsini comprendenti 700 fanti e 150 cavalli; vince la battaglia e fa 200 prigionieri. Nel 1757, Mons. Deodato Andrea dei Conti di Bivignano, fu nominato Vescovo di Sansepolcro, ove rimase fino alla sua morte avvenuta ad Arezzo il 6 Maggio 1770. Ma non sempre i Conti di Bivignano si coprirono di gloria. Qualche volta parteciparono ad atti poco edificanti, come quando, nel 1425, insieme ai Brandaglia e altri, presero a sassate S. Bernardino da Siena che si era recato presso S. Maria delle Grazie per distruggere la pagana Fonte Tuta. Dopo la scomparsa dalle scene degli Aldobrandini, fu la famiglia dei Franceschi a dominare Bivignano per diversi secoli. Il cimitero di Bivignano si trova a metà strada fra la chiesa e Le Terrine. Le case di Bivignano sono poste in due file a lato di una specie di via centrale; il tutto sopra un rialzo roccioso del terreno, in parte ritoccato per costituire una forte difesa. La popolazione di Bivignano è variata nei secoli da 150 abitanti nel XVI secolo ai 450 nella metà del XX secolo. Attualmente non ci abita nessuno. Sui muri che guardano verso est, si possono vedere ancor oggi egregie strutture in pietra architettonicamente pregevoli. Cinquant’anni fa, una grande quantità di sassi e calcinacci furono gettati dentro una profonda cisterna, durante lavori di ristrutturazione di una colonica. Sarebbe stato interessante esplorare quel pozzo per rendersi conto se sono vere le notizie che ci parlano di gallerie sotterranee e di passaggi segreti.

 

TESTI

Araldica: “Tre teste a sinistra rivolte sul campo d’argento

Fedelissimi della casa di Svevia e consorti dei Bostoli, all’inizio del Duecento i Testi hanno una solida base di potere nel contado e sono attivi nella vita politica aretina. Figura di primissimo piano è in quest’epoca Arrigo di messer Testa, podestà in numerose città del Centro-Nord, entrato per una sua “canzone” nella storia della letteratura italiana. Nella seconda metà del Trecento sono una delle maggiori case della fazione guelfa dei Sessanta. Ma all’inizio dell’età moderna la famiglia si impoverisce fortemente, estinguendosi prima della fine del Cinquecento.

 

 

LE CASATE DEL CONTADO

 

BARBOLANI CONTI DI MONTAUTO

Araldica: “D’oro all’aquila al volo abbasato di nera coronata, al campo posata sulla fascia centrata d’argento”

Famiglia toscana, nota dal sec. 11°, ricca di castelli, tra cui il principale Montauto, riconosciutile anche dall’imperatore Enrico VI, potentissima ad Arezzo, finché con Ciappetta, figlio di quell’Ubaldino detto Bocca che aveva guidato gli Aretini a Campaldino, decadde per il prevalere dei rivali Tarlati e l’ostilità del podestà Uguccione della Faggiola. Dopo l’acquisto di Arezzo fatto dalla repubblica fiorentina, i Barbolani servirono fedelmente i Medici (salvo Franceschetto che nel 1502 tradì, aiutando una ribellione d’Arezzo), distinguendosi nella lotta contro i barbareschi come cavalieri di Santo Stefano, nella diplomazia, nell’amministrazione. Nel 1753 furono ascritti al patriziato fiorentino.

 

BOURBON MARCHESI DEL MONTE SANTA MARIA TIBERINA

I Marchesi Bourbon furono a partire dal secolo XI feudatari del Monte Santa Maria, essi venuti in Italia a seguito dei francesi conquistarono gran parte dell’Alta Valle del Tevere costruendo rocche e castelli in diversi punti strategici. I Marchesi del Monte con abile politica ottennero da papi ed imperatori concessioni e privilegi, riuscendo a mantenersi indipendenti e ben saldi al potere ricoprendo spesso importanti cariche pubbliche nelle città vicine, in questo periodo Monte Santa Maria Tiberina, in base a tali permessi, era libero di dichiarare guerra e di battere moneta (l’antico fiorino montesco riprodotto nel 1998 dalla Pro Loco). Il marchesato fu retto dai discendenti dei diversi rami della famiglia fino al 1815 allorquando il Duca Ferdinando di Toscana se ne impossessò interrompendo il millenario dominio della famiglia Borbon del Monte, nel 1859 entrò a far parte del Regno d’Italia.